Vita di San Gregorio Agrigentino

san gregorio 3

 

 Su Gregorio d’Agrigento, autore di un commento all’Ecclesiaste, si conosce il Racconto di Leonzio, ieromonaco e igumeno di San Saba in Roma Antica.[1]

Nasce ad Agrigento

Gregorio nasce a Pretorio [Sella di Naro?], un villaggio sopra l’antica città d’Agrigento[2], da Caritone, esperto e valente cantore, e Teodote, oriunda da Thuris [Punta Bianca d’AG?]; è immerso nel lavacro della rinascita dal vescovo Potamione.

Giunto agli otto anni, i genitori portano Gregorio al vescovo, suo secondo padre secondo lo spirito, per compiere gli studi: Potamione affida il bambino a un uomo timorato di Dio, Damiano, valente insegnante. In due anni Gregorio apprende la grammatica, la lettura, il calcolo, il ciclo annuale delle feste e impara a memoria il salterio: supera persino il maestro.

Gregorio ha dodici anni quando i genitori scendono in città per riabbracciarlo: si presentano al vescovo Potamione e gli chiedono di tonsurare il figlio.

Il vescovo taglia i capelli di Gregorio per inserirlo nel clero, e l’ordina lettore; poi l’affida all’arcidiacono e bibliotecario Donato. I genitori sono felici nel sentire che Gregorio legge in modo irreprensibile ed è dolcissimo nel canto.

Un giorno Gregorio, diciottenne, scopre la Vita di san Basilio il Grande; leggendola diligentemente più volte, è preso dal desiderio di visitare i Luoghi Santi, dove Basilio ricevette la Grazia del Santo Spirito.

A Gerusalemme

Una notte un uomo appare in sogno a Gregorio e gli dice: “Poiché hai chiesto di vedere Gerusalemme e avere la gioia di visitare quei luoghi santi, di buon mattino portati al mare e troverai chi è che ti prenderà con sé”. Gregorio si reca prima alla foce dell’Akragas, vede una nave all’approdo e scopre che la nave è diretta a Cartagine. E’ il 30 giugno. Gregorio ottiene il permesso d’imbarcarsi: proprio allora sorge vento favorevole; la nave esce dal fiume e – in tre giorni – approda a Cartagine. Varo, il comandante, lo ospta a casa sua e parla di Gregorio al vescovo di Cartagine. Il vescovo manda l’arcidiacono a chiamarlo: lo trova intento a leggere un libro sul martirio dei santi Maccabei. Il giovane si presenta al vescovo: “Mi chiamo Gregorio, vengo dalla città d’Agrigento, della provincia di Sicilia, e vado, se Dio me lo concede per le tue sante preghiere, nella santa Sion”. Gli dice il vescovo: “Nostro Signore Gesù Cristo adempia pienamente il tuo desiderio nella grazia del Santo Spirito! Resta tra noi sino alle sante feste [?] e il Signore Dio provvederà per noi quello che vorrà”.

Dopo alcuni giorni, Gregorio si trova nel martyrion di san Giuliano quando, ecco comparire tre monaci. Uno di loro gli dice: “Gregorio, Dio ci ha manifestato tutto ciò che ti riguarda; Dio ci ha mandato per aggregarti a noi e condurti ai Luoghi Santi, come tu desideri, perché anche noi vi andiamo”. Quindi Gregorio, unitosi ai tre pellegrini, parte da Cartagine e quasi cinque mesi giunge a Gerusalemme e si ferma per la quaresima in un monastero presso la Città santa. Igumeno di quel monastero è un uomo di spirito profetico; egli conferma Gregorio nella vita monastica e nella pratica ascetica e sacerdotale. Giunto il triduo sacro della Risurrezione, l’igumeno si reca nella Città Santa con i suoi ospiti e Gregorio conosce l’arcivescovo Macario di Gerusalemme. Nella settimana di Pasqua, Gregorio abita con l’arcivescovo, lo assiste nelle cerimonie sacre e l’imita nel modo di vivere. Ogni giorno Gregorio legge in modo impeccabile i libri, li intende con molto acume e si mostra valente nella loro interpretazione, perseverando nella preghiera.  Venuta la domenica dell’Antipascha, i tre monaci si congedano dall’arcivescovo Macario per ritornare alla loro città d’origine, Roma Antica, e gli affidano Gregorio, che invece vuole rimanere.

A Costantinopoli

Venuta la Pentecoste, Gregorio è ordinato diacono dall’arcivescovo Macario. Passa quindi quattro anni presso un vecchio eremita e con lui studia retorica attica, grammatica, filosofia e astronomia. Tornato a Gerusalemme e chiesto il permesso dell’arcivescovo Macario, Gregorio il 20 aprile parte per Antiochia: il vescovo Eustazio per un anno lo ospita in un kellion dove [secondo una tradizione altrimenti sconosciuta] san Basilio il Grande scrisse l’Exaimeron. Dopo un anno, Gregorio si reca nella Nuova Roma, a Costantinopoli, e si dedica allo studio delle opere del Crisostomo, dimorando nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco.

Avendo saputo della presenza in quel monastero d’un giovane molto dotto, l’arcivescovo di Costantinopoli incarica il diacono Costantino e Massimo il Filosofo di esaminarlo. Gregorio  legge gli Arcani del Nazianzeno: è spiegando i brani più difficili di quest’opera, che  riscuote l’approvazione degli esaminatori. Appena il vescovo di Costantinopoli è informato, esclama: “Ecco l’occhio della Chiesa ortodossa; Gregorio dalla svelta mente!”[3], e chiede al diacono siciliano di fermarsi nella Città, per partecipare a un concilio contro il fetore dell’eresia messa fuori dagli empi Ciro [d’Alessandria, m. 642], Sergio [di Cpoli, m. 638] e Paolo [di Cpoli, m. 653].

Il Concilio [Ecumenico 6°] iniziò pochi giorni dopo [7.11.680], alla presenza dei vescovi di Alessandria e Antiochia e di tutti i vescovi dell’Oriente: assente giustificato per malattia il papa di Roma[4]. Gregorio vi partecipò in rappresentanza del vescovo di Costantia di Cipro, e svergognò molti vescovi eretici che pensavano da insensati intorno alla Trinità[5]. L’imperatore Giustiniano[6] si congratula con il giovane diacono, presentatogli dallo spatario Marciano, e lo congeda: Gregorio parte per Roma Antica. Vi giunge il 21 giugno; dopo aver venerato le tombe degli Apostoli, si ritira nel Monastero di San Saba [all’Aventino].

Ad Agrigento

Intanto la Chiesa di Agrigento è spaccata: alla morte del vescovo Teodoro, alcuni vogliono eleggere a successore il sacerdote Sabino, altri il diacono Crescentino. Su proposta dell’arcidiacono Euplo, si reca allora a Roma Antica una commissione, della quale fa parte anche Caritone, il padre di Gregorio: alla notizia dell’arrivo degli agrigentini, Gregorio si nasconde nel Monastero di Sant’Erasmo [al Celio], pensa persino di scappare in Spagna [?]. Continuando la lite tra le due fazioni, il papa suggerisce di accettare come vescovo colui che era stato onorato grandemente dal Concilio di Costantinopoli: manda quindi alla ricerca di Gregorio; lo si trova nascosto nel giardino del monastero; nonostante le sue resistenze e proteste, Gregorio il 16 agosto è costretto a partire per la Sicilia, accompagnato dal vescovo Felice. Il 10 settembre la nave arriva a Palermo: Gregorio è accolto festosamente dal vescovo locale; al suo passare, un monaco lebbroso guarisce all’istante. Gregorio sosta qualche giorno nel metochio episcopale di Libertino[7] che la Chiesa agrigentina aveva in Palermo, presso il tempio di San Giorgio [presso Porta Carini?]. Dopo tre giorni Gregorio salpa da Palermo e, in due giorni di navigazione, sbarca a Emporio d’Agrigento, nel primo pomeriggio: al suo apparire, un monaco sordomuto guarisce. Gregorio è accolto con una solenne Litì e accompagnato nel Monastero della Theotokos, che sorgeva all’Emporio. L’indomani le autorità civili e militari scortano il nuovo vescovo in città: le donne attendono festanti presso la Porta [Aurea]. Con le mogli dei diaconi e dei sacerdoti c’è anche Teodote, la madre di Gregorio: il vescovo bacia i piedi della mamma e saluta, una per una, le reverende signore[8].

Il nuovo vescovo ordina subito sacerdoti e diaconi, tre dei quali – Filadelfo, Platonico e Smaragdo [o Erasmo?] – vanno ricordati in particolare, e inizia a visitare le famiglie di Agrigento: prodigiosamente, guarisce la figlia del sacerdote Sabino. Ingrato, Sabino si accorda col presbitero Crescentino – prima, erano rivali – per far consacrare vescovo un certo Leucio. Questi, professante eretiche dottrine sull’economia dell’incarnazione, era stato mandato in esilio proprio per intervento di Gregorio; deposto da un sinodo locale di Laodicea, viveva a Modiolo [?], nascosto in casa dell’IllustreTeodoro. I tre assoldano la prostituta Evodia, anzi la costringono; mentre Gregorio è in chiesa per il Mesonittico, la nascondono nella camera del vescovo, avendo corrotto i portinai Tribuno e Danatzane; l’indomani i tre fanno scoppiare lo scandalo. La maggior parte degli agrigentini, tuttavia, non crede alle accuse: i congiurati coinvolgono allora Tiberio, il diacono del Papa, che in quei giorni si trovava a Filosofiana [Sofiana, presso Mazzarino -EN]; questi accorre ad Agrigento per processare Gregorio. Riunite nel Foro, le autorità locali si ribellano: “Non è legittimo che tu giudichi quest’uomo – dicono al diacono pontificio – e non è legale che Gregorio sia processato da te e non da un sinodo”.

Al diacono del Papa non resta che rapire Gregorio: di nascosto, nottetempo, insieme al diacono Platonico, il vescovo è costretto a imbarcarsi su una nave che fa rotta per Roma Antica; il marinaio Procopio è latore dell’atto d’accusa. La notizia che il vescovo è stato tradotto a Roma si diffonde subito e dilaga la rivolta: a stento il diacono pontificio si sottrae alla furia degli abitanti che vogliono ucciderlo, a stento riesce a scappare. I notabili d’Agrigento protestano con l’Arconte della Sicilia e con il vescovo di Siracusa [metropolita dell’Isola]: questi inviano una squadra di duecento uomini [per garantire l’ordine pubblico?] e un arcidiacono per mettere i sigilli all’episcopio di Agrigento.

In carcere a Roma

Giunto a Roma, Gregorio è messo in prigione: o scelleratezza, o durezza di cuore, o cattiveria di cui era pieno il Papa![9] Solo dopo un anno si ricordò del misero vescovo in catene! Si presenta, infatti, a lui l’abate Marco di San Saba uno dei monaci pellegrini per insistere: il Papa non ha il diritto di processare Gregorio senza aver prima sentito il parere dell’arcivescovo di Costantinopoli e, soprattutto, dell’imperatore. Il Papa  prende tempo: il processo si apre solo dopo la Pasqua dell’anno successivo, nel tempio di Sant’Ippolito, presso il carcere [presso San Pietro in Vincoli]. La composizione è chiaramente sbilanciata: il Papa e circa 110 giurati contro Gregorio, la Delegazione Imperiale e Patriarcale e pochi altri a favore. Prende la parola il vescovo di Ancira, in difesa di Gregorio o, piuttosto, della legalità: pretende che testimoni e accusatori siano interrogati in presenza dell’accusato[10]. Colpo di scena: proprio l’infelice Evodia smantella l’impianto accusatorio e confessa l’ignobile tranello, chiamando in causa gli indegni Sabino e Crescentino.

L’indomani il processo continua nella basilica di San Pietro, nell’atrio detto di Sant’Andrea. Sabino è condannato all’esilio in Tracia e Crescentino in Spagna, insieme a Leucio. Il sinodo condanna persino i futuri eredi dei colpevoli, e ordina la ricostruzione della cattolica, della chiesa centrale d’Agrigento, profanata dall’empio Lucio (il quale aveva persino ribaltato l’altare per trarne e distruggere le reliquie in esso custodite). Alla Chiesa di Agrigento, infine, si assegnano i beni demaniali sui quali avanzava pretese la Chiesa di Roma: addirittura, la metà della città siciliana, come documentato da rescritto imperiale che Gregorio curò di procurarsi a Costantinopoli[11].

Gregorio riabilitato

Dopo il processo, infatti, l’imperatore invita Gregorio a Nuova Roma: insieme al vescovo agrigentino, Giustiniano [II] dedica tutta la quaresima a formulare sacri canoni a beneficio della Chiesa universale[12]; Gregorio approfitta della sua permanenza nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco per tenere discorsi sui dogmi, sulla quaresima, su san Pietro, su sant’Andrea, ecc.

  Il ritorno ad Agrigento

Gregorio fa quindi ritorno ad Agrigento, colmo di doni avuti dall’imperatore e dalla sua sposa [Teodora]: ad accoglierlo c’è ancora il padre e, tra le reverende presbitere, anche la madre; Gregorio non vuole però entrare nell’episcopio[13], e si stabilisce presso il tempio dedicato a Eber e Raps [divinità puniche = Eracle e Trittolemo o Castore e Polluce?] che trasforma in chiesa cristiana, dedicata ai santi Pietro e Paolo; la precedente cattedrale, infatti, era stata riconsacrata – o meglio, profanata – da due compari di Leucio, gli eretici vescovi del Grande Ponto e di Seleucia[14].

Gregorio morì in pace, dopo una lunga vita e dopo aver edificato il popolo con molti miracoli[15].

[1] D. De Gregorio, Vita di San Gregorio agrigentino, Agrigento 2000

[2] Akragas, “la più bella città dei mortali” (Pindaro), fondata nel 581 a.C. da cittadini di Gela (colonia di dori-cretesi), invasa dai Normanni nel 1086, subisce la cattolicizzazione a opera di Gerlando di Besançon, un allobrogo imparentato con i conquistatori; per molti secoli il Patriarcato Ecumenico continua, tuttavia, a conferire il titolo di vescovo agrigentino. Nel 20° secolo la città riacquista l’antico nome, abbandonando quello ereditato dai Berberi Berberi (Girgenti, da Kerkent) e la Sacra Arcidiocesi d’Italia ricostituisce una parrocchia ortodossa.

[3] In greco, grègoros = veloce.

[4] I pochi mesi del pontificato di Agatone furono funestati da una tremenda peste che spopolò Roma Antica: il papa morì a Concilio appena iniziato.

[5] Tra gli “insensati eretici” il Concilio condannò anche Onorio, papa di Roma Antica.

[6] Il minorenne Giustiniano II, figlio di Costantino IV che convocò e presiedette il VI Concilio Ecumenico.

[7] Secondo la tradizione, primo vescovo d’Agrigento è un san Libertino, martire – pare – a seguito degli editti persecutori promulgati da Valeriano (257 e 258).

[8] Teodote è tra diaconesse e presbitere perché madre d’un vescovo e sposa d’un cantore.

[9] Testuali parole della Vita. Da notare: agrigentini, arconte imperiale e metropolita di Siracusa, formano un “partito” contrapposto a quello formato da eretici, diacono pontificio e Papa.

[10] In tutta la vicenda è evidente il contrasto tra una posizione garantista, improntata al Diritto Romano, e una posizione giustizialista o barbarica.

[11] All’epoca in cui fu scritto il Racconto di Leonzio, a Roma Antica già era nota la leggenda alla base della famigerata Donatio Constantini.

[12] Si parla del Concilio del 692, il Quintosesto? Gran parte dei suoi canoni tentano di riportare la cristianità occidentale all’ortodossia della tradizione liturgica e disciplinare.

[13] Può darsi che, per qualche tempo, Agrigento sia stata divisa tra eretici e ortodossi?

[14] Il Grande Ponto è forse l’Armenia Minore; Seleucia è il centro della Chiesa Nestoriana che in un Sinodo del 486 permise le nozze dei vescovi: il metropolita Barsauma di Nisibi, per “dare l’esempio”, sposò la monaca Mamoe. Si noti che Sabino, pretendente alla sede vescovile d’Agrigento, è coniugato.

[15] Manca lo spazio per elencare i molti miracoli della Vita; manca lo spazio, purtroppo, per riportare le tante preghiere disseminate nel testo e che, messe insieme, formerebbero un piccolo Eucologio.